Finalmente Meandrino

09/12/2018, Grotta di Monte Cucco – Ramo Unabomber

Questa è una storia di freddo, acqua e fatica. Continuano a chiederci chi ce lo fa fare, la risposta è sempre la stessa.

Passaggio con doccia obbligata

E’ da qualche giorno che ci confrontiamo su quale obbiettivo darci per il fine settimana. Io (Francesco) avrei voglia di tornare ad Unabomber per continuare il riarmo del pozzo che dovrebbe portare al Meandrino. Lorenzo invece ha un obbiettivo in testa da molto tempo ed è irremovibile: vuole disarmare la Fluoresceina e riportare fuori l’abbondante materiale utilizzato per le risalite. Matteo mi appoggia.
Decidiamo quindi di dividerci in due squadre con obbiettivi distinti: Lorenzo insieme a Lucia e Valentina alla Fluoresceina, Francesco e Matteo ad Unabomber.
All’arrivo a Pian dei Cavalli il clima è decisamente invernale, il vento gelido da sud ovest ci accompagna per un bel pezzo, sino a quando il sentiero non passa sul versante ovest del monte, offrendoci riparo.
Solita vestizione all’ingresso in fondo alle scale al riparo dalle intemperie. Io e Matteo ci avviamo per primi. Decidiamo di cercare di essere fuori per le 20:30. Lorenzo lascerà un biglietto in fondo alla Burella, la prima squadra che passa di li in uscita lo scrive. In realtà da li dovremo caricarci parte delle corde che disarmeranno dalla Fluoresceina quindi in caso dovessero avviarsi prima di noi troveremmo un buon centinaio di metri di corda ad aspettarci pronta per essere portata fuori.Ci divoriamo la discesa in questi ambienti oramai familiari e in men che non si dica ci ritroviamo nella sala terminale del ramo Unabomber. Da qui, superato un traverso acrobatico in salita, si prosegue risalendo il corso d’acqua. La stagione invernale è iniziata ed il flusso d’acqua lo dimostra alla grande. “Mi sa che oggi ci infradiciamo” mi dice Matteo osservando il torrentello che ci scorre in mezzo alle gambe. Ed aveva ragione. Poco più in su, passata la stramaledetta strettoia di fango in salita, appena prima di abbandonare l’attivo, ci si presenta un passaggio obbligato sotto cascata. Rispetto all’ultima volta, quello che ricordavo come uno stillicidio o poco più, oggi si impone prepotente come una doccia gelida obbligatoria, basta passarci sotto, un istante, e la previsione di Matteo diventa realtà.

FREDDO
Da qui in poi tutto quello che faremo sarà accompagnato dal freddo, quello vero.
Poco dopo la cascata si abbandona l’attivo passando al fossile. Dopo qualche metro ecco la prima verticale. Scendiamo lungo i primi tre pozzi, avevamo già modificato gli armi la scorsa volta rendendoli sicuri.
Questo congiungimento dal vecchio fondo del Meandrino al Ramo Unabomber fu scoperto in risalita dai Marchigiani. In cima si legge la scritta “Giunzione”, l’anno è il 2000. Purtroppo al tempo usarono i soliti moschettoni in lega. Oggi, dopo quasi 20 anni, di quei moschettoni rimane ben poco: straordinarie fioriture bianchissime, ciuffi di ossidi di alluminio, scaglie argentate che si sgretolano al minimo tocco.
In pochi minuti arriviamo in testa al pozzo dove ci eravamo fermati l’ultima volta con riarmo e rilievo. Qui la corda parte con un nodo a scontro su placchetta in alluminio, passa in serie su moschettone fiorito su placchetta che gira e da li va all’attacco singolo sulla verticale nel vuoto, un tiro da una ventina di metri su corda da 9 su moschettone e placchetta in alluminio, o quello che ne rimane. Matteo saggia la roccia con il martello per doppiare il primo attacco ma alla prima martellata gli schizza una scheggia nell’occhio. Gli metto le lacrime artificiali che mi porto di solito in grotta proprio per questo tipo di problemi e mentre lui inizia ad accendere disto e palmare io proseguo con l’armo. Il palmare non funziona! Lo schermo touch non risponde correttamente e in questa condizione è inutilizzabile. Matteo esprime tutto il suo disappunto. Ormai ibernati decidiamo di proseguire ad oltranza con l’armo e riprovare ad accendere il palmare al ritorno, facendo in caso il rilievo al contrario. Iniziamo a scendere, io avanti mi fermo ad ogni frazionamento a sostituire i moschettoni fioriti con maglie rapite in acciaio inossidabile, la maggior parte delle placchette qui sono già buone, non vanno sostituite. La corda pur essendo vecchia non è stata usurata dalla progressione e ci da fiducia. Man mano che scendiamo il rumore d’acqua si fa sempre più vicino. Questo pozzo non finisce mai! Dopo 5 tiri ci invertiamo, Matteo passa avanti a riarmare e io lo seguo.
Qui decidiamo di armare in un punto differente, nel vuoto, lontani dalla parete usata dagli esploratori per la risalita. Attacco doppio, deviatore e giù.

ACQUA
Ormai manca poco, il rumore d’acqua è vicino e si inizia ad intravedere il fondo del pozzo, un ampissimo meandro che arriva chiassoso con una cascata da un lato e si perde con una serie di saltini dall’altro. Matteo, arrivato in fondo, mi da il libera e scompare coperto dal frastuono dell’acqua verso valle. Scendo e mi fermo in cima ad una cascatella a gambe larghe per non bagnarmi i piedi. Dopo poco vedo la luce di Matteo tornare verso monte. Come abbia fatto a scendere senza infradiciarsi del tutto lo ignoro. Non ci sono corde, si progredisce sul fondo del meandro, l’abbondante flusso d’acqua rende impensabile proseguire senza una muta. Matteo mi racconta che poco più avanti si riesce a rimanere alti, lontani dall’acqua ma poi il meandro allarga obbligando la via bassa. Per adesso dobbiamo abbandonare, abbiamo fatto abbastanza per oggi, lasciamo tutto nelle mani dell’acqua.
Arrivederci Meandrino, ci rivediamo in periodi più asciutti.

FATICA
Il palmare non funziona, niente da fare. Iniziamo a risalire completamente ghiacciati. Parto per primo e con grande attenzione risalgo il primo tiro di corda. Prima scendendo la batteria del trapano era finita ed abbiamo dovuto lasciare l’armo come era, fortunatamente senza alluminio ma ad ogni modo poco confortevole.
Risaliamo velocemente, tiro dopo tiro, sino ad Unabomber e da li sino all’Orco. Controlliamo se ci sono le corde che avrebbero dovuto lasciarci gli altri in uscita ma non ne troviamo. Ci incamminiamo quindi verso la Fluoresceina per andargli incontro nella speranza che stiano venendo via anche loro, abbiamo ancora molto freddo e nessuna intenzione di stare fermi ad aspettare. Li incontriamo appena prima della base della Fluoresceina. Dopo una breve sosta, parmigiano e qualche barretta, ci approntiamo per la risalita. Il materiale da riportare fuori è veramente molto. Cerchiamo di suddividerci equamente le corde tra noi maschietti, circa 70 metri a testa, il resto lo portano le ragazze.
Il sacco di Matteo è un bel bambinello, anche il mio e quello di Lorenzo non scherzano! Cara Burella, sarà lunga e faticosa la risalita. Il peso si fa subito sentire, la galleria parte sin da subito in pendenza e non accenna a diminuire sino alla fine. Si sente che è da un po’ che non torno in grotta. Ma mi piace, la fatica svuota la testa… e gratifica profondamente.
L’ultimo vero sforzo sono le scale dell’uscita. Da li in poi è tutta discesa fino alle macchine.
Finiamo la stupenda giornata con una bella cena di tarda sera al Villa Anita.

Francesco

 

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