La Grotta del Fiume

04/09/2021, Grotta del Fiume, Frasassi

La Grotta del Fiume è uno dei luoghi che da tempo volevo vedere. Sapevo che non avremmo fatto la classica traversata. L’obiettivo era un ramo della grotta molto concrezionato e particolarmente bello: il fondo Mexico.

Dopo molte riflessioni e dopo aver vagliato almeno 2000 scuse per passare la “sòla”, decido di andare. Sono ormai quasi due anni che non entro in grotta e mi sento arrugginita e quasi alla prima esplorazione del mondo ipogeo.
Individuo subito i punti di riferimento in caso di bisogno: Rebecca se restassi senza cibo, Maria Luisa se dovessi sentire un freddo polare, Eugenia e Nicola in caso stessi per morire 😀

Dopo il rituale caffè al bar raggiungiamo le auto per cambiarci. L’avvicinamento è rapido per cui indossiamo tutto, ferraglia compresa. In pochi minuti costeggiamo il fiume Sentino e arriviamo all’ingresso che si trova qualche metro sopra il fiume. Con l’aiuto di una corda accediamo. Ci dividiamo in gruppi e partiamo all’avventura. Dopo una risalitina su corda inizia il percorso. La grotta è orizzontale ma molto molto molto molto fangosa e scivolosa. Non permette distrazioni. Attraversiamo varie salette sotto la guida esperta dei ragazzi di Jesi. Una, molto carina, è detta “Rinoceronte” poiché c’è una roccia concrezionata che sembra il profilo di un rinoceronte con tanto di corno. Poi c’è il “Mammellone” una roccia che segna un passaggino un po’ scomodo e avverso a chi non ama molto l’arrampicata libera (fosse anche per soli due metri). Di passaggi acrobatici ce ne sono fin troppi per i miei gusti, ma come direbbe la saggia donna spelea che mi accompagna “devi pure ricominciare, no?!?”

Il percorso procede a rilento, e così decidiamo di modificare in parte l’itinerario raggiungendo la più vicina saletta del tè. Mentre ci avviciniamo la grotta si fa sempre più concrezionata. C’è la sala “Sonora” dove ci sono delle concrezioni che sembrano canne d’organo. Siamo ormai dentro da cinque ore. La stanchezza si fa sentire e decido di fermarmi per riposare; sarebbero comunque ripassati da quella zona al ritorno. Per arrivare alla famosa saletta non manca molto, ma è davvero troppo scivoloso per me J. Alla fine mi lascio convincere da Luca e salgo…effettivamente aveva ragione sul fatto che ne sarebbe valsa la pena (ma non glielo dirò mai J ).

La saletta occupa un angoletto in fondo ad un percorso ed è bellissima perché all’interno di un laghetto dalle acque azzurre, si sono create delle concrezioni a forma di tavolinetto con tanto di tazzine sopra. E’ incantevole e molto riservata. Anche la zona in prossimità della saletta è molto concrezionata, ci sono dei capelli d’angelo e delle vasche, ormai secche, che conservano le concrezioni che segnano il livello raggiunto dall’acqua.

Dopo esserci soffermati a fare foto, con i ragazzi di Jesi abbiamo ripreso il cammino verso l’uscita. Vorrei dire che la cosa è avvenuta velocemente, se non fosse per quel malefico deviatore messo da Luca. Che dire…lui lo aveva annunciato all’andata che sarebbe stato una scocciatura…ma fin quando non ritorni non sai quanto potrebbe diventarlo!!! E niente….dopo un traverso leggermente lasco arrivo a sto tiro…il deviatore è lì che mi guarda, dopo il frazionamento. La corda vola dentro il discensore che è talmente pieno di fango che quasi non si apre. Ripasso mentalmente la “procedura deviatore” per non fare figure barbine….voglio dire….è un banale deviatore…..

Mi dico: “Arriva al deviatore, non troppo vicina, fai la chiave, sgancia il deviatore, riaggancia il deviatore….riaggancia il deviatore…..riaggancia il deviatore….riagg…..Euge!!!! Ma come hai fatto tu a rimettere sto cavolo de deviatore, se becco Luca oggi vede lui!” E siccome Eugenia mi vuole bene, me lo spiega, ma niente, non ci riesco. In effetti è corto rispetto al tiro, ma ovviamente serve corto per evitare che la corda sfreghi contro la roccia….Siccome inizio ad essere stufa e tanto non ci riesco a mettere il deviatore, prendo al volo un cordino che mi passa Nicola per allungarlo. Allunga e accorcia, sto deviatore ci fa perdere un po’ di tempo. Ad ogni modo, da lì a poco siamo fuori.

Di solito i ragazzi di Jesi uscendo si buttano nel fiume, per rinfrescarsi e pulire tuta e attrezzi…invece Eugenia ed io, con molta più calma e tranquillità, in attesa dell’uscita degli ultimi, ci siamo messe a fare le piccole lavandaie. Dopo aver tolto l’attrezzatura e la tuta abbiamo iniziato a lavarle in riva al fiume. Cose d’altri tempi J !

Come nella tradizione ci fermiamo a cena e poi rientriamo nel cuore della notte. Rientro in casa stanca morta (ma con l’attrezzatura lavata J ) e contenta di aver riallacciato un filo con quello che amiamo fare. La pandemia ci ha divisi e anche un po’ disorientati, ma siamo tornati a progettare piccole e grandi uscite che ci coinvolgono di nuovo come gruppo.

Beh….la “tigna” non ci manca 😉

Valentina

 

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